La civiltà delle Ca’
Attraverso le Ca’ viene organizzato il territorio. Si procede alla sua bonifica, dove possibile, si avviano le prime culture, prevalentemente, se non esclusivamente, risaie, si utilizzano i braccianti che vivono in casoni di canna fino al 1800 e oltre. Le Ca’ del Delta, se da un lato si differenziavano dalle case, per lo più di canna, della popolazione locale, non hanno la monumentalità e il pregio artistico di molte Ville Venete, ma hanno una dignità propria che consentiva ai proprietari di marcare il territorio con l’immagine di sé data da elementi architettonici comunque distintivi: edifici e poderi che garantivano quel governo del territorio che le famiglie patrizie veneziane, e più tardi della aristocrazia terriera locale, intendevano svolgere.
Per certi aspetti le Ca’ non sono dissimili dalle Ville venete e come quest’ultime si comportano nel rapporto col territorio molte delle Ca’ deltizie, che si pongono come elemento organizzatore, epicentro, fulcro di una complessa opera di costruzione territoriale, “… per il loro essere prodotti spaziali di una serie di relazioni [politiche, economiche e sociali] e, per il loro porsi in rapporto con le preesistenze spaziali, sono componenti della formazione di una nuova «armatura territoriale» …” (A. Tenenti, 1978). E’ quella che Michelangelo Muraro ha chiamato “La civiltà delle ville venete”. La Villa Veneta, come comunemente viene identificata nell’immaginario collettivo nelle opere del Palladio o dello Scamozzi, è il risultato finale di un processo insediativo iniziato con un preesistente edificio a prevalente funzione agricola, non particolarmente ricercato sotto il profilo architettonico, che, col mutare del luogo su cui sorge, si trasforma diventando anche luogo di delizie con idonea architettura.
Ca’ da Marina – Porto Viro – Anni ’90
Nell’impossibilità di governare i processi naturali, di piegare la natura ai propri disegni, la consapevolezza di non giungere ad imporre al luogo quella forma conclusa che costituiva il punto di partenza indispensabile per fruire degli ozi e degli agi della villeggiatura, si deve ricercare la deficienza formale nell’edificato basso polesano. Tuttavia il loro limite, sotto il profilo stilistico, non sminuisce il ruolo che le Ca’ hanno avuto nei confronti dell’intorno, nel plasmare il territorio; anzi probabilmente ne ha semplificano la lettura, ne ha amplificato l’effetto, rendendolo più evidente, più marcato. Nel Catasto Napoleonico vengono sovente classificate come “case di villeggiatura”, e quindi di soggiorno estivo per i signori, anche se in realtà assolvevano prevalentemente ad una funzione molto concreta legata alla gestione del territorio tuttora anfibio. Un territorio che paradossalmente, ma non poi tanto, assomigliava a Venezia città anfibia (M. Muraro, 1986). E questo spiega forse perché le molte famiglie patrizie hanno accettato la sfida ad insediarsi in un territorio tanto precario, costituito, per lo più, da canneti, da brughiera, da “sabbia cespugliata”, in cui solo la coltivazione del riso in alcune aree era possibile. Questi insediamenti sono stati per il territorio un imprinting quasi indelebile, perché i nomi dei luoghi resistono anche laddove la villa non esiste più perché demolita o crollata.